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PADRI E FIGLIE








Il deserto dei silenzi, l'amara memoria di gesti negati, di sguardi oltre, che scivolano sul contorni per soffermarsi sempre altrove, un raro sorriso, compiacente e forse compiaciuto, per la muta richiesta di una presenza ambita e mai sentita: il padre, la figura maschile cosi potente da influire su sentimenti, emozioni, atteggiamenti della figlia, al punto da determinare l'autostima, da tracciarne il destino. Un destino spesso amaro, segnato da dubbi, insicurezza, da amori non corrisposti, dal bisogno incessante di piacere agli altri. di attrarne l’attenzione ed il riconoscimento, a causa di un rifiuto lontano, di un tradimento perpetrato inconsapevolmente, che infligge una ferita tanto profonda ed ardua da rimarginare.

L'identità della donna è caratterizzata dalla brama di incontrare l'uomo, il grande assente della sua infanzia. e, nella sua corsa verso di lui, si troverà imprigionata nelle maglie del potere virile e delle sue leggi "La mancanza di uno sguardo maschile nell'infanzia della bambina la renderà schiava di questo sguardo per il resto dei suoi giorni".
Se il padre, dunque, non ha instaurato con la figlia un rapporto di stima, fiducia, apprezzamento, che ne incoraggi lo sviluppo intellettuale e spirituale e ne valorizzi la femminilità questa sarà devastata interiormente dalla solitudine, da una disperazione angosciosa, dal senso di abbandono. E’ lui, infatti, la sua guida nei sentieri del mondo, il modello di riferimento per la capacità decisionale, per il senso di responsabilità per la disciplina e da lui attinge per interiorizzare gli ideali e la forza per affrontare i conflitti esistenziali.

Così se il padre è rimasto fissato allo stadio adolescenziale dello sviluppo, è un sognatore, un fanciullo che non sa darsi né regole né limiti ed aggira quei conflitti con superficialità, susciteràaltrettanta insicurezza ed instabilità nella propria figlia, al cui fragile Io non resta che costruirsi inconsciamente un'immagine ideale dell'uomo, un amante-ombra che inseguiràper tutta la vita, senza speranza alcuna di raggiungere, dal momento che un tale essere perfetto esiste solo nelle sue fantasie.

In questi casi, inoltre, la madre è spesso una donna dura e dominante, di cui la figlia adotterà atteggiamenti e mentalità, invischiandosi in un'identificazione che determina la negazione della femminilità.

Non più adeguato come modello, è il padre tiranno, sempre gelido ed autoritario, ma mai rassicurante ed autorevole, che impone obbedienza cieca ed assoluta, regole rigide di comportamento, senza alcuna motivazione concreta. giacché segue lo imperativo categorico del dovere.
Questo padre-padrone, che esercita il suo potere anche e soprattutto mediante il controllo ferreo delle finanze familiari, che soggioga moglie e figlia, che le costringe a vivere un ruolo passivo e tradizionale, che suscita, si, un senso di stabilità ma anche una durezza verso se stesse e gli altri, arresta il flusso della creatività, congela le emozioni, impedisce la espressione spontanea dei sentimenti. L'alternativa, per la donna, è l’accettazione passiva o la ribellione ad oltranza, nei ruoli che Linda Schierse Leonard definisce rispettivamente dell’amazzone-corazzata e dell'eterna-fanciulla, entrambi comportamenti reattivi, che comunque ostacolano la crescita emotiva e la possibilità di vivere autonomamente la propria esistenza, secondo i propri criteri e desideri.

L’amazzone-corazzata si è costruita una forte identità maschile, persegue ideali di successo, per sopperire a bisogni mai soddisfatti, ed esercita un esasperato controllo delle sue emozioni.
La corazza, in realtà , è un guscio protettivo, che cela la sua vulnerabilità interiore, la sua angoscia d'abbandono e rende molto ardui e spinosi i rapporti con l'uomo, al quale occulta la sua solitudine e mostra solo la sua indomabilità.

L'eterna-fanciulla invece è una donna che, indipendentemente dalla sua età anagrafica, è rimasta psicologicamente una bambina che rifiuta sistematicamente di assumersi responsabilità e decisioni, in quanto scarsamente dotata di autostima e consapevolezza.
E’ inerme, passiva, vittima spesso di un uomo autoritario ed esprime la sua identità attraverso le proiezioni altrui, divenendo una donna fatale, una padrona di casa squisita, una figlia, prima, e una moglie, poi, obbediente e disciplinata: una bambolina, che si muove, parla, ride, piange, a comando.
In cambio dell'apparente realizzazione delle sue fantasie romantiche sul Principe azzurro, cede indipendenza, speranze e desideri, coraggio ed autostima.

Il ruolo dell'eterna-fanciulla è stato mirabilmente descritto in "Casa di bambola" di Henrik Ibsen che, nel personaggio di Nora, ha delineato il vuoto interiore di una vita vissuta all'ombra di un uomo, l'angosciante desolazione di chi nasconde la sua forza dietro la maschera della debolezza, l'ingenuità artefatta, mirata a negare la mancanza di intimità, comprensione, fiducia nel rapporto coniugale.

L'opera teatrale si apre sul rientro a casa di Nora: è quasi Natale e lei sorride, canticchia, sgranocchia, un po' furtiva, alcuni dolcetti.

Torvald: – E' la mia lodoletta che trilla lì fuori? –
Nora: – Sì, è proprio lei! –
Torvald : – E' lo scoiattolo che ruzza? –
Nora: – Sì –
Torvald: – Quando è rincasato lo scoiattolino? –
Nora: – In questo momento. (Caccia in tasca l'involto dei dolci e si pulisce la bocca). Torvald, vieni a vedere cosa ho comprato! –
Torvald: – Non mi disturbare! (Poco dopo apre la porta e guarda nella stanza, con la penna in mano).
Comprato, hai detto? Tutta quella roba, il passerotto sventato se ne è di nuovo andato in giro a sciupar denaro? –

Nel dialogo, desta l'emozione del lettore l'esasperante condiscendenza di Torvald, contrapposta alla docilità seduttiva di Nora che, con le sue moine, riesce ad ottenere l'ambita piccola somma di denaro, solo dopo avere disciplinatamente ascoltato la severa predica di suo marito sul valore del denaro e sul disonore che colpisce chi contrae debiti.

Nora (accostandosi alla stufa): – Ma sì, come vuoi tu, Torvald.–
Torvald (la segue): – Già, ma non voglio che la lodoletta trascini le ali. Cosa c'è? Lo scoiattolino fa il broncio? (Tira fuori il portafogli)–

La seduttività manipolatoria di Nora gioca con il compiacimento di Torvald, che si sente forte del potere esercitato su di lei.

Torvald: ––– Ed io non ti vorrei diversa da quel che sei, mia cara piccola allodola canterina.
Però, ora che ci penso; oggi hai un'aria così... come dire?...sospetta... –
Nora: – lo? –
Torvald: – Sè, tu. Guardami bene negli occhi. –
Nora (lo guarda): – E ora? –
Torvald (minacciandola col dito): – La piccola golosa non ha trovato qualcosa da sgranocchiare oggi in città? –
Nora: – Ma no, cosa ti viene in mente? –
Torvald: – Davvero la ghiottoncella non ha fatto una scappata in pasticceria? –
Nora: – No, Torvald, ti assicuro. –
Torvald: – Non ha assaggiato un po' di marmellata? –
Nora: – No, davvero. –
Torvald: – E neanche rosicchiato due o tre amaretti? –
Nora: – Ma no, Torvald, ti assicuro, proprio... –
Torvald: – Via, via... dico per scherzo, si capisce... –
Nora (va verso il tavolo di destra): – Non mi verrebbe mai in mente di fare cose che ti dispiacciono ... –
Torvald: – No, lo so anch'io. E poi m'hai dato la tua parola. –

Nella sua vita, cosparsa di piccole, grandi menzogne, Nora ha rinnegato anche il diritto di mangiare dei dolci, giacché ha barattato la sua libertè per la comoditè di un ruolo da sempre recitato, fin dai primi tempi di suo padre, per eludere il cambiamento.

In quel momento, mentre progetta col marito la testa mascherata in programma per la sera, non sa che il destino ha in serbo per lei il ricatto, l'onta del disonore, la disperazione della perdita, ed, infine, il riscatto della sua dignità di donna, nelle vesti di Krogstad, l'usuraio.

Molto tempo prima, per pagare un viaggio di convalescenza a suo marito, gravemente malato, ella aveva contratto un grosso debito con l'uomo, falsificando la firma di suo padre che, poco dopo era morto, senza poter avallare le cambiali.

Lavorando in silenzio, di nascosto, conscia che l'orgoglio di Torvald non le avrebbe perdonato quell'umiliazione, ha quasi estinto quei debito; ma, quella sera, l'usuraio si reca da lei, chiedendole di intercedere presso il marito, che vuole farlo licenziare.
Terrorizzata dal ricatto, cerca dapprima di usare il suo fascino di scoiattolina per convincere Torvald a conservare l'impiego a Krongstad, poi, resasi conto di non poter eludere il confronto con lui, decide di confessargli la verità certa della sua comprensione, ma preoccupata che l'onore e lo amore gli impongano di addossarsi la sua colpa e, quindi, decisa ad uccidersi per evitarlo.
Ma dopo le prime battute, scopre quanto, in realtà lei poco lo conosca.


Torvald: – Dunque è vero? E' vero ciò che egli scrive? Orrore! No, non può essere! –
Nora: – E' vero. Ti ho amato sopra tutto al mondo! –
Torvald: – Risparmiami queste miserevoli scuse. –
Nora (facendo un passo verso di lui): – Torvald! –
Torvald: – Disgraziata! Cosa hai fatto? –
Nora: – Lasciami andare. Tu non dovrai espiare per me. Non devi addossarti la mia colpa. –
Torvald: – Basta con queste commedie. (Chiude la porta dell'anticamera). Tu resterai qui e mi renderai conto delle tue azioni. Capisci quello che hai fatto? Rispondimi! Lo capisci? - Nora (lo guarda fisso e parla irrigidendosi sempre più in volto): – Sì, Ora incomincio a capire perfettamente. –
Torvald (muovendosi per la stanza): – Ah, che risveglio terribile! Per questi otto anni... lei che è stata la mia gioia e il mio orgoglio... una bugiarda, un'ipocrita .. peggio ancora, una criminale... laidezza senza fondo! Orrore. orrore! –

(Nora tace e continua a guardarlo fisso. Torvald si arresta davanti a lei).

– Ma avrei dovuto esservi preparato, avrei dovuto prevederlo. Quel tuo padre spregiudicato. Taci! La spregiudicatezza l'hai ereditata da lui. Nessuna religione, nessuna morale, nessun senso del dovere. Ah, come sono punito di aver chiuso un occhio sulla tua condotta. L'ho fatto per te. E tu mi ricompensi così. –
Nora: – Sì... così. –
Torvald: – Hai distrutto la mia felicità. Hai stroncato il mio avvenire... Dovrò andare alla malora per la sventatezza di una donna! –
Nora: – Quando avrò lasciato questo mondo, tu sarai libero. –
Torvald: – Basta coi paroloni. Anche tuo padre sfoderava sempre frasi del genere. A che mi gioverebbe che tu lasciassi il mondo, come vai dicendo? Proprio a nulla. Egli potrebbe tuttavia propalare la cosa; e se lo facesse mi si incolperebbe magari di essere stato complice della tua azione criminale. Potrebbero credere ch'io ne sia stato l'ispiratore, l'istigatore. E di tutto questo posso dir grazie a te, a te che ho sempre portato in palmo di mano durante la nostra vita in comune. Ti rendi conto, ora, di quello che hai fatto? –
Nora (calma e fredda): – Sì –
Torvald: – Bisogna ch'io cerchi in qualche modo di tacitare quell'uomo; la cosa deve essere soffocata a qualunque prezzo.
In quanto a te e a me, in apparenza tutto deve restare immutato, ma naturalmente solo agli occhi del mondo.
Tu dunque resterai qui, s'intende. Ma non sarai tu l'educatrice dei bambini, non oserei affidarteli... Oh, dover dire questo alla donna che ho così intensamente amata, e che ancora ...! No. tutto questo deve finire.
D'ora innanzi non si tratta più della nostra felicità, ma soltanto di salvare i resti, i relitti, le apparenze... –


Ad interrompere la squallida scena una lettera dell'usuraio che, pentito, rinuncia ai suoi propositi, permettendo a Torvald di rimettersi la sua maschera paternalistica: ora che "è salvo ", è pronto a perdonare la moglie, a mettere una pietra sull'accaduto, a riprendere la solita vita, recitando i soliti ruoli.


Torvald: – Mi hai amato come una moglie deve amare il marito. Soltanto ti è mancato il giudizio necessario nella scelta dei mezzi.
Ma credi forse di essermi meno cara perché sei incapace di agire da sola? No, no, appoggiati a me e troverai guida e consiglio.
Non sarei un uomo, se appunto questa tua femminile incapacità non ti rendesse ai miei occhi ancor più seducente.
Non far caso alle parole dure che ti ho rivolto nel primo sgomento, quando credevo che tutto crollasse intorno a me. Ti ho perdonato, Nora, giuro che ti ho perdonato.
Come hai potuto temere che io ti scacciassi o che ti rivolgessi anche un solo rimprovero? Oh, Nora, tu non conosci il cuore maschile.
Per un uomo v'è un'infinita dolcezza un'indicibile soddisfazione nella coscienza di avere perdonato alla sua donna... In tal modo ella diviene per così dire doppiamente sua; come se egli l'avesse ricreata una seconda volta. Ella diventa allora sua sposa e figlia al tempo stesso... io sarò la tua volontà e anche la tua coscienza... –


Ma colei che ha di fronte, la donna dal viso impenetrabile e l'espressione decisa, non è più la sua Nora, il suo scoiattolino, è un essere umano che rivendica il suo diritto a pensare.


Nora: – Siamo sposati da otto anni. Non t'accorgi che noi due, tu ed io, marito e moglie, oggi per la prima volta stiamo parlando di cose serie?. Mai abbiamo cercato di vedere il fondo delle cose. –
Torvald: – Ma, cara Nora, sarebbe forse stata un'occupazione adatta a te? –
Nora: – Ecco il punto. Tu non mi hai mai capita. Avete agito molto male, con me, Torvald, Prima il babbo, e poi tu. –
Torvald: – Che cosa? Tuo padre ed io... Noi che ti abbiamo amata sopra ogni cosa al mondo? –
Nora (scuotendo il capo): – Voi non mi avete mai amata, vi siete divertiti ad essere innamorati di me. –
Torvald: – Ma, Nora, che cosa dici mai? –
Nora: – Sì, è così, Torvald.
Quando stavo col babbo egli mi comunicava tutte le sue idee e quindi quelle idee erano le mie.
Se per caso ero di opinione diversa, non glielo dicevo, perché non gli sarebbe affatto piaciuto.
Mi chiamava la sua bambolina e giocava con me, come io giocavo con le mie bambole. Poi venni a casa tua... –
Torvald: – Ti esprimi in modo strano a proposito del nostro matrimonio. –
Nora: – Voglio dire che dalle mani di papà passai nelle tue mani.
Tu regolasti ogni cosa secondo i tuoi gusti e così il tuo gusto io lo condivisi. O forse fingevo, non so neanch'io... forse un po’ l'uno e un po' l'altro, ora questo ora quello.
Se ora mi guardo indietro mi sembra di avere vissuto qui come una mendicante, alla giornata. Ho vissuto delle piroette che eseguivo per te, Torvald. Ma eri tu che volevi così.
Tu e il babbo siete molto colpevoli verso di me. E' colpa vostra se io non sono buona a nulla...
...Ma la nostra casa non è mai stata altro che una stanza da gioco. Qui sono stata la tua moglie-bambola, come ero stata la figlia-bambola di mio padre. E i bambini sono stati le bambole mie. –


Squarciato il velo della finzione, Nora per la prima volta si guarda e, alla luce della consapevolezza, comprende che deve lasciare quella casa, Torvald, i bambini, per intraprendere il lungo viaggio alla scoperta di se stessa e del mondo.


Torvald: – Oh... è rivoltante. Così tradisci i tuoi più sacri doveri? –
Nora: – Che cosa intendi per i miei più sacri doveri? –
Torvald: – E debbo dirtelo? Non sono forse i doveri verso tuo marito e i tuoi bimbi? –
Nora: – Ho altri doveri che sono altrettanto sacri. –
Torvald: – No, non ne hai. E quali sarebbero? –
Nora: – I doveri verso me stessa. –
Torvald: – In primo luogo tu sei sposa e madre. –
Nora: – Non lo credo più. Credo di essere prima di tutto una creatura umana, come te... o meglio, voglio tentare di divenirlo.
So che il mondo darà ragione a te, Torvald, e che nei libri sta scritto qualcosa di simile, ma quel che dice il mondo e quel che è scritto nei libri non può essermi di norma.
Debbo riflettere col mio cervello per rendermi chiaramente conto di tutte le cose. –
Torvald: – E con questa lucidità e sicurezza tu abbandoni tuo marito e i tuoi figli? –
Nora: – Sì. –
Torvald: – Allora c'è una sola spiegazione possibile. –
Nora: – Qual è ? –
Torvald: – Tu non m'ami più. –
Nora: – Sì, è proprio questo. –
Torvald: – E puoi anche spiegarmi come ho perduto il tuo amore? –
Nora: - Certo. E' avvenuto questa sera, quando ho atteso invano il prodigio. Allora ho capito che tu non eri l'uomo ch'io credevo...
Per otto anni, ho atteso pazientemente. Mio Dio, lo capivo anch'io che il prodigio non può capitare come una cosa di tutti i giorni. Poi la rovina piombò su di me; e allora attesi con fede incrollabile.
Mentre la lettera di Krohstad era là nella cassetta... nemmeno un istante ho pensato che tu potessi piegarti alle pretese di quell'uomo. Ero convinta che gli avresti risposto: va' pure e fallo sapere a tutto il mondo. E, quando ciò fosse avvenuto, io ero certissima che ti saresti fatto avanti e, prendendo tutto su di te, avresti affermato sono io il colpevole! –
Torvald: – Nora! ... –
Nora: – Tu vuoi dire che io non avrei mai accettato un simile sacrificio? Certo che no. Ma a che sarebbero valse le mie affermazioni di fronte alle tue?
Questo era il prodigio che io aspettavo tra la speranza e l'angoscia. E, per impedirlo, mi sarei tolta la vita. –
Torvald: – Sarei felice di lavorare giorno e notte per te, Nora... di sopportare affanni e dolori per amor tuo. Ma nessuno sacrifica il suo onore a quelli che ama. –
Nora: – Migliaia di donne l'hanno fatto. –
Torvald: – Ah, tu pensi e parli come una bimba incosciente. –
Nora: – Può darsi. Ma tu non pensi, né parli come l'uomo a cui potrei rimanere vicina.
Quando il tuo timore è svanito... il timore, non del pericolo che mi minacciava, ma di quello che potevi correre tu stesso, quando ogni paura è passata... tu hai fatto come se nulla fosse accaduto; io ero di nuovo, esattamente come prima, la tua lodoletta... in quel momento ho capito d'avere vissuto qui per otto anni con un estraneo e di aver avuto tre figli da lui... Oh, non posso pensarci! Vorrei lacerare me stessa in mille pezzi! –
Torvald (tristemente): – Capisco, capisco, Infatti un abisso s'è spalancato fra noi due. Ma, dimmi, Nora, non lo si può colmare? –
Nora: – Così come sono ora, non posso essere tua moglie... –
Torvald: – lo sento in me la forza di diventare un altro. –
Nora: – Forse... se ti portano via la tua bambola. –


Fredda e determinata, Nora restituisce a Torvald l'anello nuziale, come simbolo della riconquistata libertà giacché nulla ella può accettare da un estraneo.

Torvald: – Nora... non sarò mai più altro che un estraneo per te? –
Nora: – Ah, Torvald, dovrebbe accadere il meraviglioso, il prodigio...
Dovremmo trasformarci tutti e due a tal punto che... Ah, Torvald, io non credo più ai prodigi. –
Torvald: – Ma io voglio credere. Dimmi! A tal punto che ... ? –
Nora: – Che la nostra convivenza diventi un matrimonio. Addio! –


L'addio di Nora è quello sussurrato, sibilato, gridato, oggi, dalle donne che, come lei, abbandonano la casa e la famiglia e vanno a vivere da sole, per "trovarsi", dopo la tragica scoperta che la loro vita non appartiene a loro, bensì all'altro, al burattinaio che regge i fili della sua marionetta.

L'intuizione che l'atteggiamento passivo serva in realtà da copertura ad un ruolo manipolatorio occulto, per l'incapacità di affermare la propria forza nascosta, favorisce l'individuazione dei propri limiti e delle proprie capacità e la creazione di regole, autonomamente stabilite, conduce alla strutturazione di una personalità equilibrata.

Tale consapevolezza è accompagnata da una profonda sofferenza, inevitabile ma necessaria, ad un processo di trasformazione, da cui scaturisce la libertà interiore.

La ferita subita va affrontata, elaborata e, infine, accettata, per giungere ad una comprensione e compassione umana verso se stesse e verso il padre.

"La guarigione delle donne non va cercata nelle sabbie mobili del rimprovero", che incatena al passato ed impedisce di vivere il presente e non fa che perpetuare la dipendenza emotiva.

La ferita inflitta alla donna è anche una condizione culturale: in un clima patriarcale autoritario, che svaluta il femminile, riducendolo a ruoli stereotipati e non esperiti personalmente, non c'è spazio per i sentimenti autentici, per la creatività , per la concretizzazione delle proprie genuine possibilità

L'unica via, per evitare di cadere preda delle proiezioni culturali collettive, è il riscatto dal padre, in modo che cessino di operare i vecchi e stantii modelli distruttivi e che vengano alla luce gli aspetti positivi e costruttivi di quella figura così fondamentale, per interiorizzarli e favorire il dialogo con il maschile, dentro e fuori del sè.




BIBLIOGRAFIA

L Schierse Leonard,– La donna ferita – Astrolabio, Roma 1985
C. Oliver – I figli di Giocasta – Emme Edizioni, Milano 1981
E. Harding – La strada della donna– Astrolabio, Roma 1951
Sophie Freud,– Le mie tre madri – Bompiani, Milano 1990
I brani tra virgolette sono stati tratti dal libro "Casa di bambola" di Henrik Ibsen- Einaudi ,Torino 1963

 

 

Testo di Claudia Francesca Galante
dalla Rivista "L'Insegnante Specializzato" (ed.ASSIO).
©Tutti i diritti riservati

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